Uscire dai propri mandati familiari

Il rapporto con il proprio sistema familiare e con le “indicazioni “ più o meno esplicite che da esso arrivano è uno degli aspetti più problematici da affrontare. L’ambiente nel quale siamo cresciuti e le relazioni con le persone che ne facevano parte è stato un fattore determinante nella costruzione della nostra personalità e nel modo con cui ci siamo approcciati al tratto dell’Alta sensibilità, integrandolo in noi e valorizzandolo o meno.

Come ci si allontana da questi mandati familiari? Cosa permette di lasciare andare il peso del destino altrui che stiamo portando a discapito della nostra vita per perseguire, invece, la strada giusta per noi?

La consapevolezza.

Il punto da cui partire, il primo passo da fare, è sempre interno a sè.

Puoi iniziare mettendo attenzione a come stai ora nel presente; in particolare nelle relazioni (conflittuali o meno, esplicite o meno) con la tua famiglia di origine.

  • Quali sono le tue reazioni istintive in famiglia?
  • In quali dinamiche accadono?
  • Come ti poni davanti ai tuoi familiari, sei l’adultə di ora o ritorni bambinə?
  • Cosa c’è alla base di questo cambiamento? Senso di colpa, risentimento, attesa di essere vistə, riconosciutə, amatə?
  • Da dove arrivano questi sentimenti? Cosa hanno bisogno di esplicitare?

Spesso ci intrappoliamo ad aspettare quello che avremmo tanto desiderato ricevere nell’infanzia ed è ciò che ci fa rimanere bambini all’interno di una relazione. Se non ce ne rendiamo conto rischiamo di rimanere paralizzati, prigionieri di qualcosa che vive nel passato ma ha conseguenze limitanti sul presente, senza possibilità di trovare il sollievo della liberazione.

Alla base di una dinamica evitante dei propri nodi interiori, spesso si nasconde la paura delle conseguenze che avrebbe portare alla luce la propria verità. Si usa la scusa di non andare a sollevare la polvere sotto il tappeto per vivere un’apparente armonia. Ma il benessere autentico nel presente avviene solo quando c’è liberazione da ciò che ancora al passato, se non si guarda e non si attraversa la ferita, il peso nel presente rimarrà.

Anche quando ci si impone di non vedere, il corpo, che non è capace di mentire, ricorda e registra ogni cosa, provando a comunicare al cervello l’esigenza di affrontare la propria eredità attraverso sintomi, reazioni, malesseri… perché l’uomo ha bisogno della verità, ha bisogno di potersi guardare tutto intero, ha bisogno di autenticità.

 È vero che guardare e rielaborare pezzi della propria vita fa attraversare un profondissimo dolore, fatto di solitudine, rabbia, malinconia, a volte angoscia. È un percorso che si ripropone ogni volta che si compie un passo nuovo verso la conoscenza di sé: viene riportato a galla un nuovo pezzetto da affrontare, con tutta la gamma di emozioni che comporta. Ma è altrettanta, se non più dispendiosa, la quantità di energia che si usa a evitare questo cammino.

Forse a volte questo accade perché non ci si permette di provare determinate emozioni, giudicate “cattive”dal retaggio educativo avuto, eppure queste sono lì a servizio dell’identità e nel privarsi dell’ascolto di alcune parti di sè ci si violenta.

Posso assicurarti che dall’altra parte di questo cammino ogni volta c’è la libertà ad attendere.

È come nel film “Mission”, quando Robert De Niro trascina la rete contenente la sua armatura, con l’anima squarciata dal peso della coscienza; si cammina con un sacco di pietre sulla schiena che man mano si fa più leggero, fino a quando lo si può lasciare andare. Poi ricomincia un’altra volta magari, ma non sarà più così difficile, perché lo si è già fatto, si è già sperimentato il senso di leggerezza e gratitudine che c’è nel potersi conoscere e abbracciare per la prima volta interi.

Quello che senti pungere nel presente è proprio quello che c’è bisogno di affrontare, è proprio il passo che la realtà chiede di fare per raggiungere ciò che in fondo al cuore si agogna: la letizia.

Ti racconto una cosa di me. Quando Emma aveva all’incirca 20 giorni di vita, una mattina chiamai in lacrime la dottoressa che mi aveva aiutata in un momento drammatico della mia adolescenza per dirle che non riuscivo a prendermi cura della bambina se mia mamma non rispondeva al mio modo di interpretare l’amore. Mi rispose: <<Teresa, smetti di aspettare questo da tua madre! Non succederà>>. Ed effettivamente, nel percorso lunghissimo e doloroso che ho affrontato dopo, sono riuscita a comprendere il valore di quel “smettila di aspettare questo”. Ho capito che l’amore che volevo io e del quale, probabilmente, avevo bisogno da bambina, non era quello che riusciva a darmi mia mamma; ma è quando ho smesso di avere la pretesa di ottenerlo che ho potuto accorgermi delle altre forme di amore che ha avuto (anche nella mia infanzia) e lì sono subentrati i sentimenti positivi che adesso costituiscono il rapporto tra di noi.

Bisogna diventare adulti perché ora lo siamo e diventare per noi genitori della nostra parte bambina.

Se questa sta piangendo perché nessuno è riuscito ad abbracciarla nei suoi bisogni infantili e noi rimaniamo ad aspettare che siano i nostri genitori a rispondervi, continuiamo a vivere una vita passiva, una vita che rimane alle dipendenze della capacità di un altro, fuori di noi. La nostra felicità, la nostra realizzazione (e di conseguenza il benessere dei nostri figli) rimane dipendente dalla risposta di un altro. Questo non è giusto e non lo è neppure per i nostri genitori perché vengono continuamente messi davanti all’ accusa che la nostra non riuscita nel presente è frutto delle loro mancanze passate.

Con questo non sto minimizzando la responsabilità che una gestione abusante delle proprie figure di riferimento nel passato ha nella persona adulta che si è diventata ma sto dicendo che si può assumere una posizione attiva nei confronti della nostra vita, perché non siamo più bambini la cui vita dipende da altri, ora possiamo offrirci da soli quello di cui abbiamo bisogno. Iniziando a rieducarci a un ascolto di noi, imparando a connetterci con ciò che ci fa bene e allontanandoci da ciò che porta via dal nostro centro, dandoci la priorità.

Da genitori, dobbiamo essere consapevoli che la relazione con i nostri figli diventa terreno fertile per tutti gli aspetti rimasti inguardati della nostra infanzia.

Quindi questo lavoro, pur partendo dalla decisione di iniziare davvero a provare ad amarci prendendoci cura di noi, ha, allo stesso tempo, un risvolto immediato per i nostri bambini: essere sollevati dall’aspettativa inconscia che soddisfino i nostri bisogni infantili rimasti irrisolti (perché è questo che succede).

La differenza la fa se c’è stato un percorso di conoscenza e rielaborazione rispetto al proprio vissuto infantile:

  • che bambinə sono statə?
  • Come è stata accolta la mia sensibilità?
  • Come gestivo i rapporti con gli altri?
  • Mi sono mai sentita diversə o non accettatə? Come ho reagito?

È difficile smantellare i propri mandati familiari, c’è una resistenza arcaica ad opporsi alla volontà del gruppo, a scegliere una strada diversa (ed è ancora più difficile da persona altamente sensibile, proprio perché questa caratteristica percepisce tutto molto più intensamente e vi è una resistenza forte a deludere le aspettative degli altri).

Essere diverso porta con sé il rischio di essere escluso e questa ipotesi è strettamente legata al sentimento della paura perché storicamente essere allontanato dal gruppo sociale comportava la possibilità di morire: si rimaneva esposti, diventando una facile preda.

È importante accogliere tutto questo, comprendere che il sentimento provato ha radici molto profonde ma capire anche che questo rischio non esiste davvero, non siamo realmente in pericolo.

In questa nuova prospettiva scandagliamo gli aspetti di eredità di valori e credenze che abbiamo ricevuto, capiamo se sono giusti per noi.

Per scegliere consapevolmente il mio destino devo essere capace di stare accanto e cogliere cognitivamente ed emotivamente tutto della mia bambinə interiore, devo essere capace di ascoltare cosa mi sussurra all’orecchio.

Non ricordo chi diceva che nell’essere adulti bisogna saper rimanere con una parte di cuore, di coscienza, nell’infanzia per poter vivere da persona libera nel presente.

Ti abbraccio forte, con la speranza e l’augurio che tu possa iniziare (o proseguire) questo viaggio!

Teresa