Una delle difficoltà più grandi nella quale può incorrere un bambino altamente sensibile è il contagio emotivo. Essendo portati, naturalmente, a provare una grande empatia sono attraversati costantemente da emozioni intense e spesso, senza aiuto, non riescono a capire se provengono da loro o arrivano dall’esterno.
È determinante, quindi, come da adulti affrontiamo questa particolarità con loro.
L’alfabetizzazione emotiva è uno strumento indispensabile per i nostri bambini; abituarli a parlare delle emozioni, a trovare sfumature in esse, a dettagliarle, ad ascoltare in quale parte del corpo si accendono, a comprendere come mai sono lì.
Aiuta anche a capire se quello che stanno provando è davvero un emozione loro o stanno facendo riverberare dentro di sè lo stato d’animo di un amico, del genitore, della maestra o del passante… perché capita anche questo: l’incontro casuale con uno sconosciuto di cui “raccogliamo” lo stato d’animo.
Quando i bambini sono piccoli, spetta a noi adulti mettere in parole quello che stanno provando, facendo ipotesi per spiegar loro quello che vivono e perchè:
<<Mi sembra che tu stia provando una forte rabbia, il tuo viso è rosso e forse lo senti anche accaldato, senti la spinta a usare le mani o le gambe per sfogarti? Può darsi che la costruzione caduta ti abbia provocato tristezza perché ci stavi lavorando con tanta cura? Forse dentro questa rabbia c’è il dolore per una cosa bella che adesso ti sembra non esserci più?>> e avanti così.
È proprio un’indagine attraverso la quale li abituiamo a pensarsi, a darsi ascolto e quindi anche a mettere distanza tra loro e quello che provano, a non identificarsi con l’emozione.
“Un rifugio dentro di me“
Ho una passione enorme per la letteratura dell’infanzia e l’ho sempre usata come accompagnamento nel presentare a mia figlia l’approccio alla realtà che ho abbracciato negli ultimi anni. Mesi fa mi sono imbattuta in questa lettura:
“Un rifugio dentro di me”, di Anne Booth e David Litchfield; sassi editore.

L’emozione presentata in queste pagine è “Tristezza“, uno stato d’animo spesso bistrattato e etichettato come negativo; fonte di preoccupazione per i genitori, tentati dallo scacciarla via o sostituirla il prima possibile.
Ma cos’è davvero la tristezza, quali risorse porta con sé e perché invece, il bimbo del libro le costruisce addirittura un rifugio per tenerla al sicuro?
Il libro mette in immagini e parole proprio quelle infinite sfumature di cui può colorarsi un’emozione: la tristezza può essere piccola e discreta, grande e rumorosa, o una via di mezzo, quello che è importante è accoglierla sempre! Suggerisce anche degli atteggiamenti, delle risposte istintive che questa emozione ci porta ad applicare e come valorizzare questo sentire, quali sono le cose belle che porta con sé.

Di mio sono una persona spesso malinconica e per anni ho vissuto con disagio questa caratteristica, probabilmente anche per questo l’idea di costruire un rifugio accogliente dove preservare e curare la mia malinconia mi ha conquistata: “questo sarà il rifugio per la mia Tristezza, dove potrà rimanere, perché è giusto così”, dirà il bimbo a un certo punto, un posto dove sentirsi la benvenuta.
È una accorgimento davvero delicato ribadire più volte durante la lettura che tutto quello che il bimbo prepara per accudire la sua Tristezza lei, impersonificata da un groviglio azzurrognolo con gambe e braccia, può scegliere se usarlo o meno.

È bello l’accenno al fatto che provare questo tipo di emozione non ti priva della letizia della vita, della possibilità di fare esperienze nutrienti e arricchenti, di gioire del quotidiano; perché a volte si sente la necessità di riconnettersi alla tristezza, di piangere anche, ma altre si potrà semplicemente lasciare l’emozione al sicuro nel suo rifugio, mentre si è impegnati a vivere con spensieratezza.
E va bene così.
Si può farle visita ogni volta che se ne sente la necessità e lei può uscire dal suo rifugio per guardare assieme quanto il mondo sia meraviglioso.
